24August Riserva Naturale Orientata Pizzo Cane, Pizzo Trigna e Grotta Mazzamuto

Da Palermo percorrere la A19/ E 90 fino all'uscita di Casteldaccia, quindi imboccare la SP 16 in direzione Baucina-Ventimiglia di Sicilia. Dopo circa 25 Km si arriva alle pendici di Pizzo della Trigna.

Oppure da Palermo percorrere la A19/E 90 fino all'uscita di Termini Imerese imboccare la SS285 per Caccamo, a circa 5 km sulla destra scendere per la Diga Rosamarina, passare sulla Diga e la galleria annessa, dopo 2 km circa (strada sterrata) deviare a destra su una stradina che conduce alla SP e che fiancheggia l'entrata delle riserva e le aree attrezzate.

Questo massiccio montuoso presenta non soltanto rocce calcaree dovute al sedimentarsi di gusci e scheletri di animali nei fondali dell'antichissimo mare dell'epoca mesozoica, ma anche la presenza di pareti silicee, organizzate in lamelle parallele frammiste ad elementi incoerenti (scisti) formatesi per l'accumulo lentissimo e costante nei secoli di gusci di microorganismi (diatomee e radiolari) e di spugne silicee nei fondali marini. Non solo: su Pizzo Cane, all'interno dei calcari, esistono intrusioni di rocce vulcaniche che arrivano ad affiorare.

La storia geologica di queste montagne si legge anche in certi spaccati murali in cui affiorano scisti silicei colorati e variegati, in cui il reticolo di fratture racconta gli effetti delle forze tettoniche che incessantemente sottopongono la crosta terrestre a sollevamenti, spostamenti e torsioni. L'area si presenta, quindi, soggetta all'erosione dovuta agli agenti atmosferici che hanno portato sia allo sviluppo di formazioni superficiali, tra cui il reticolo di corsi d'acqua stagionali, sia alla formazione di cavità come le tre grotte più significative già citate nell'introduzione. Di queste, la Grotta Brigli riveste un interesse di tipo speleologico: si presenta ricca di concrezioni e panneggi calcarei lungo i cunicoli e le sale. La Grotta del Leone ha importanza dal punto di vista ecologico perché al suo interno vive una comunità di Iberidella minore, pianta che cresce nelle grotte abitate dal bestiame.

Dalla lettura del paesaggio, quindi, emergono diversi tipi di ambienti naturali: quello rupestre, quello vallivo costituito da boschi, quello prativo e di gariga e quello umido, lungo il corso dei torrenti. L'ambiente rupestre è, di per sé, aspro e difficile, ospita diverse piante endemiche o rare che si trovano solo in determinate aree della regione o della provincia. Le ripide pareti quasi verticali presentano riflessi rosei o bianchi e sono ferite da anfratti formatisi nella nuda roccia, che ospitano arbusti o cespugli rustici capaci di colonizzare e adattarsi a questi ambienti inospitali. Si tratta dei cespugli rotondeggianti dell'euforbia arborea che macchia di smeraldino le pareti in inverno (in estate perde le foglie dopo aver subìto delle variazioni cromatiche che da verdi mutano sino ad assumere un magnifico colore rosso fuoco), dell'olivastro e dell'immancabile leccio. Si trovano anche numerose altre specie come il cavolo rupestre o il ciombolino siciliano, dalla corolla lilacina, altre euforbie come quella del Bivona-Bernardi (più evidenti nei pressi della Grotta Mazzamuto) e la coniza rupestre.

Flora

I boschi naturali sono lembi relitti costituiti da leccio, da quercia da sughero e da querce caducifoglie, frammisti ad orniello, acero campestre e, più raramente, ad acero trilobo. In questo bosco mediterraneo, il sottobosco ospita cespugli di rosacee tipici della macchia mediterranea: pero mandorlino e rosa sempreverde. Ma anche di biancospino comune, di erica arborea, di ginestra spinosa e di citiso trifloro (un arbusto che somiglia alla ginestra).

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Una presenza molto interessante e significativa è quella dell’agrifoglio nelle parti sommitali, che forma una boscaglia insieme al leccio. Sul manto erboso del sottobosco crescono anche il ciclamino primaverile, dalle foglie variegate e dalle corolle fucsia, e la rosa peonia, dalle bellissime corolle rosate o bianche venate di porpora. Là dove il bosco si dirada ci sono macchie arbustive in cui appare anche il lentisco ed altre piante non presenti nel bosco, tra cui, persino la palma nana. Queste macchie colonizzano anche le zone semirupestri e sono formate da piante che resistono al pascolo, all’aridità e agli incendi come ad esempio l’euforbia arborea, l’olivastro ed il lentisco. Come un mare che lambisce questi isolotti di vegetazione arborea ed arbustiva, ecco la prateria che nei tratti più rocciosi ed assolati assume l’aspetto di steppa ed è caratterizzata dai grandi cespi dell’ampelodesma.

Fauna

L’habitat rupestre è il regno del falco pellegrino, abilissimo cacciatore d’uccelli, ma anche dell’aquila reale. Un tempo queste pareti ospitavano i nidi del capovaccaio, piccolo avvoltoio migratore chiamato anche Pasqualino, perché i primi arrivi in Sicilia avvengono nel periodo di Pasqua. La sporadica presenza del capovaccaio, pulitore d’ossa grazie al becco sottile e specializzato, è indice del decadimento della rete alimentare, problema ormai diffuso dappertutto in Italia.
Per il resto, le solite presenze legate a questo tipo di ambienti naturali: nel folto del bosco si trovano cince, formidabili insettivori, e lo scricciolo. Sui tronchi, il frenetico rovistare di picchi rossi maggiori e rampichini alla ricerca di cibo.
Tra i predatori sono presenti la donnola e la martora, ma anche il gatto selvatico e la volpe. Nelle aree fra bosco e prateria trovano cibo e rifugio anche roditori, tra cui il grosso istrice, e lucertole (campestre e siciliana), ramarri e serpenti come il colubro liscio, il biacco e la vipera.

La lepre appenninica:
In questa riserva vive una consistente popolazione di lepre appenninica (Lepus corsicanus De Winton 1898). Presenza di eccezionale importanza perché questo animale, considerato sino a qualche anno fa una sottospecie della lepre europea, pare sia una specie a se stante che vive nelle piccole valli d'alta montagna e nelle aree di macchia mediterranea. Da ricerche condotte a livello genetico, si è potuto stabilire che la lepre appenninica è un endemismo (cioè una specie che vive solo in determinate aree geografiche) del nostro Paese e specificatamente dell'Italia centro-meridionale, della Sicilia e della Corsica, anche se ancora non è stato determinato se possa essere considerata una specie a se stante. Lo zoologo Mario Lo Valvo già nel 1997 riportava la presenza di questo animale in Sicilia. Attualmente la lepre appenninica è un animale "a rischio" per via della concorrenza con le lepri europee introdotte a scopo venatorio, nei suoi stessi habitat. Non è facile distinguere le due specie fra loro: le differenze sono poche e riguardano colorazioni specifiche del pelo in alcuni punti del corpo (nuca, coscia e sfumatura laterale). Sono ancora in corso gli studi mirati a disegnare una mappa della distribuzione della lepre appenninica, delle sue abitudini e della sua biologia, cercando i caratteri distintivi rispetto alla lepre europea e osservando cosa accade in quei luoghi in cui, pur essendo presente la nuova specie, sono stati introdotti a scopo venatorio individui dell'altra.

La storia, il paesaggio e l'uomo

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La riserva, una delle più interessanti della provincia di Palermo, da un lato domina il versante ovest del golfo di Termini Imerese; dall'interno si affaccia su una zona di grande varietà geomorfologica e naturalistica, dove è visibile l'impronta che l'uomo ha lasciato fin dai tempi più antichi.
Nella Grotta Mazzamuto sono stati, infatti, rinvenuti importanti reperti che testimoniano la sua presenza in queste zone, già nella preistoria. Nel XII sec. quest'area era fertile e ricca di colture, come testimonia il geografo Idrisi. In questo tratto della Sicilia interna, dove predominano le colture estensive di frumento, tra i sec. XVI e XVII, furono creati grossi borghi agricoli che hanno subìto un lento abbandono, soprattutto tra l'800 ed il '900, come è accaduto a Baucina e a Ventimiglia di Sicilia, territori in cui ricade l'area protetta con caratteristiche diverse dagli altri comuni della riserva, che si trovano sulla costa. Altavilla Milicia deve il suo primo nome a Roberto Altavilla, detto il Guiscardo, che nell'XI sec. edificò, nei pressi dell'odierno paese, una chiesa per celebrare la vittoria contro i musulmani: Santa Maria di Campogrosso o San Michele, la Chiesazza come viene chiamata nei dintorni. I resti della costruzione e del vicino monastero si trovano dopo il ponte ad unica arcata, probabilmente coevo, che attraversa il torrente S. Michele. Notizie su Caccamo sono state date quando si è raccontato di Monte S. Calogero. Casteldaccia, borgo sorto intorno al 1700, è conosciuta per l'attività di trasformazione dei prodotti agricoli: pasta, olio e vino sono ben noti localmente, ma questo piccolo centro è diventato famoso nel mondo grazie alle cantine Duca di Salaparuta. Trabia, l'"at tarbi'ah" (la quadrata) del XII sec., era un centro ricco di mulini e di acque. Nel '300 vi fu impiantata una tonnara che ha smesso di lavorare nel 1971, successivamente trasformata in complesso alberghiero. Nei pressi si trova il Castello, del quale sconosciamo la data di fondazione, ma che ancora oggi conserva in buono stato le parti principali dell'edificio.

Emergenze paesaggistiche

Grotta Mazzamuto: interesse archeologico.
Grotta Brigli: interesse speleologico.
Grotta del Leone: si apre sul versante Ovest di Pizzo Cane.

Visto da Monte Carcaci, nell’area di Prizzi e Castronovo di Sicilia, il massiccio di Pizzo Trigna appare immenso e fa da sfondo all’orlo gessoso delle Serre di Ciminna, che costeggiano la depressione valliva naturale che si offre allo sguardo dell’osservatore. È questa una delle riserve più estese e presenta una serie di caratteristiche ambientali che la rendono molto interessante da molteplici punti di vista: geologico, botanico, faunistico e paletnologico.
Insieme a Monte San Calogero, sulla costa di Termini Imerese, questi rilievi rappresentano il logico anello di congiunzione fra i monti di Palermo e le Madonie. L’imponente massiccio (che con Pizzo Trigna raggiunge i 1.257 m s.l.m.) sovrasta un’ampia vallata, una sorta di altipiano esteso su cui scorre un ricco reticolo di ruscelli e corsi d’acqua che si incanalano nel Vallone Corvo. Data la natura calcarea delle montagne, anche queste presentano fenomeni di erosione carsica, sia superficiale che profonda, che hanno dato origine anche a tre grotte: la Grotta Mazzamuto, dall’imponente ingresso, di chiaro interesse archeologico (qui si sono insediate comunità rupestri in epoche protostoriche); la Grotta Brigli (o Brigghi o dei Berilli) che assume un valore più squisitamente speleologico e, infine, la Grotta dei Leoni. Qui risiedono presenze faunistiche e botaniche di importante valore ecologico e tutta l’area testimonia il silenzioso e paziente intreccio dell’opera dell’uomo con la natura dei luoghi.

(tratto dal sito Dipartimento Azienda Regionale Foreste Demaniali)

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Riserva Naturale Orientata Monte S. Calogero

Fra scisti e calcari, fluidi idrotermali e cristalli minerali

 


Da Palermo percorrere la A19/ E 90 fino all'uscita di Termini Imerese, quindi imboccare la SS 285 fino a Caccamo, da qui si raggiunge la riserva attraverso una semi-sterrata che si inerpica sul monte.

Monte San Calogero geologicamente è una grossa anticlinale (porzione di crosta terrestre piegata dalle forze tettoniche che la fanno emergere) che sprofonda in direzione E-SE. Più che un monte sarebbe più corretto chiamarlo "Sistema montuoso del San Calogero": si presenta come un poderoso massiccio costituito da calcari e dolomie originatesi dal Mesozoico in poi, da strati silicei e dal cosiddetto flysh numidico (di natura sedimentaria).

La sua morfologia è varia e complessa, a tratti molto accidentata, con valloni profondi in cui si insedia la vegetazione naturale. Visto dall'alto, il monte a settentrione si affaccia sulla costa tirrenica, mentre a sud-ovest presenta due dorsali, una orientale e l'altra occidentale, separate dalla depressione del piano di Santa Maria. Il monte di aspetto accidentato è caratterizzato da numerosi rilievi. Nel corso dei secoli è stato interessato da forze terrestri che ne hanno fratturato l'unità: è, infatti, possibile distinguere i due grandi sistemi di faglia con andamento NNO-SSE e NE-NO. Questo ha comportato il ribassamento di alcuni settori rocciosi in direzione NO-NE. Il contrasto paesaggistico fra le parti sommitali, aspre e selvagge, e quelle a valle, che hanno una dolce morfologia collinare, è molto forte. Ad ovest l'erosione fluviale delle rocce calcaree ha comportato la formazione di imponenti gole, canaloni e forre, come per esempio i valloni Pernice e Tre Pietre, dagli alvei profondamente incassati lungo una discontinuità tettonica. Queste erosioni torrentizie hanno messo a nudo le stratificazioni rocciose di epoche diverse, consentendo ai geologi di risalire alle origini del monte.

Lo studio del carsismo sotterraneo ha messo in evidenza sulle pendici del monte un profondo ipogeo, che ancora non è stato studiato a causa della sua inaccessibilità. Una nota molto particolare è quella dell'emergenza di Poggio Balate: qui, dalle fenditure delle rocce, risalgono fluidi idrotermali ricchi di fluorite e baritina, che cristallizzano formando concrezioni minerali visibili e di grande interesse.

Flora

Il paesaggio, così vario ed accidentato dal punto di vista geomorfologico, presenta diversi tipi di ambienti naturali: quello rupestre, la boscaglia, la gariga e la prateria. Le difficili condizioni di vita dell'ambiente rupestre consentono l'insediamento a specie erbacee o cespugliose spesso endemiche a vari livelli: qui vivono il cavolo rupestre, l'euforbia di Bivona-Bernardi, la stellina di Sicilia, il litospermo a foglie di rosmarino, il garofano rupestre, la camomilla di Cupane, la bocca di leone siciliana, l'iberide rifiorente ed altre piante.

Una nota curiosa è data dalla presenza delle erbe cosiddette "spaccapietre", utilizzate per la cura dei calcoli renali (atamanta siciliana e cedracca comune). Nel versante di SE, al disopra degli oliveti, zone vallive accolgono modeste sugherete discontinue, con una vegetazione arbustiva che non è più quella espressiva di questo tipo di boschi: copioso risulta l'ampelodesma, chiaro indice di degrado dell'ecosistema. Su questo stesso versante si trova una fitta boscaglia costituita dal leccio che arriva a spingersi sulle pareti calcaree fin quasi ai piani di vetta. Tra gli arbusti più comuni si notano l'orniello, il carrubbazzo, la ginestra spinosa, il pungitopo e diverse specie lianose. A NO si trovano i rimboschimenti con pino d'Aleppo e latifoglie tipiche di questi luoghi. Nei pendii più dolci, dove il suolo è più profondo, s'insedia invece la roverella, ma in modeste formazioni.

Nelle accidentate aree semirupestri ecco grossi arbusti resistenti all'aridità ed alla luce accecante: i pulvini sferici di euforbia arborea, l'olivastro, l'assenzio arbustivo, il lentisco, il tè siciliano e il teucrio arbustivo. Tra i nuclei di bosco e gli arbusteti c'è la prateria che nelle zone pascolate presenta piante resistenti e provviste di forti spine, come la spina bianca e le eduli carciofo selvatico e onopordo maggiore. Sulle ampie pendici calcaree domina l'ampelodesma, mentre in alcuni tratti riprendono vigore l'olivello spinoso, il lentisco e la ginestra spinosa. Una buona fioritura primaverile di orchidee di varie specie punteggia i prati assolati: l'ofride gialla e la fior di vespa, l'orchidea aguzza, a farfalla e la screziata. Si trovano anche orchidi come la tridentata e quella di Branciforti. Ricca la presenza di insetti (coleotteri ed emitteri e variopinte farfalle).

Fauna

In questa riserva si è insediata un’avifauna molto interessante, nidificante ed installata sulle pareti più ripide del monte dove è possibile osservare l’aquila reale, la poiana ed il falco pellegrino. In primavera e in autunno, nelle zone più pianeggianti, accorrono numerosi uccelli di varie specie, alcuni dalle livree particolari come il rigogolo o le upupe. E’ possibile anche incontrare tracce dell’istrice e della volpe. Nella vegetazione arbustiva sta lo zigolo nero, un uccello stanziale. Fra i rettili si trovano quasi tutte le specie presenti in Sicilia. Infine un panorama bellissimo e spettacolare, che si potrà godere in vetta partendo dalle piste forestali e dalle mulattiere del versante sud.

La storia, il paesaggio e l'uomo

Monte San Calogero si affaccia sul golfo di Termini Imerese. A proposito del suo nome sappiamo che il territorio montano che si estende tra Caccamo e Termini era frequentato da calogheri, eremiti che avevano scelto di vivere la loro santità nel silenzio e nella solitudine di quelle plaghe; questi anacoreti erano venerati e venivano visitati dagli abitanti del luogo: questa devozione diede origine al culto di San Calogero. Il tratto di costa su cui domina il monte è caratterizzato da un insediamento sparso di coltivazioni di piccola proprietà fondiaria che si è venuta a creare soprattutto negli anni Cinquanta, dopo la riforma agraria.

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Foce dei fiumi Imera settentrionale, Torto e S. Leonardo, questo spazio fu molto frequentato nel passato da popolazioni che cercavano terre fertili e la possibilità di insediarsi nell'entroterra dove era più facile proteggersi, ma che, grazie alle vie fluviali, avrebbero avuto un continuo contatto con la costa, luogo deputato ai commerci. Da qui si dipartono, costruite sin da tempi remoti, le strade che collegano la costa settentrionale della Sicilia con quella meridionale, attraversandone il cuore. Resti di insediamenti importanti come il dolmen di Mura Pregne, nel settore nord-est della riserva, il sito archeologico di Himera (vedi box) e poi castelli, come quello di Brucato, torri di avvistamento, mulini, caricatori per il commercio del grano, ponti ed edifici religiosi sono testimonianze di quel fermento che il territorio ha via via perduto, dopo l'affermazione dell'economia feudale e la diffusione del latifondo, durata fino al XX sec.. Umiliato da tentativi mal riusciti di "industrializzazione", questo circondario è dominato sulla costa dallo scheletro di un capannone industriale mai completato e deturpato da costruzioni abusive e impianti dei quali oggi sembra non possiamo più fare a meno.

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I comuni che sorgono a ridosso della riserva, soprattutto nell'ultimo decennio, si sono resi conto che la loro ripresa economica stava nella peculiarità delle antiche attività agro-silvo-pastorali. E così hanno intrapreso una politica per il recupero e la valorizzazione delle stesse: Sciara, capitale dei carciofi come la più nota Cerda, ad esempio, sta puntando sulla coltivazione biologica, sull'allevamento di qualità e sull'attività di agriturismo, curando anche i siti che testimoniano la presenza di popolazioni passate. Caccamo, dominata dal maestoso castello, edificato nella metà del XII sec. (qui Matteo Bonello, signore del luogo, fomentò i baroni siciliani affinché si ribellassero a Guglielmo II, il malo, nel 1160), che mantiene una forte impronta chiaramontana (nel ‘300 fu trasformato ed ampliato da Manfredi Chiaramonte), ha puntato non solo sull'agricoltura e l'allevamento, ma anche sulle attività artigianali di antica tradizione. Tessuti e ricami, cesti, opere in legno (testimonianza visibile ancora oggi sono i ricchi portoni che ornano alcune case del paese), in ferro e in terracotta sono abilità manuali di cui sono andati sempre fieri i Caccamesi. E, anche se certe lavorazioni, come quella del ferro, si sono trasformate (oggi esistono e si impongono i semilavorati), qui si sta cercando di valorizzare l'"arte dei padri".

Diversa la situazione di Termini Imerese, l'antica Thermae (nella parte alta del paese, inglobata nel tessuto urbano) costruita dopo la distruzione di Himera che, trovandosi sulla costa, ha avuto uno sviluppo economico totalmente diverso: il porto e, quindi, le attività commerciali, la pesca, le terme, che sfruttano ancora le sorgenti curative, delle quali la leggenda racconta che anche Ercole trasse beneficio, e per lungo tempo la FIAT, alla quale sono state legate numerose attività di supporto. Himera Sorgeva sulla riva sinistra dell'omonimo fiume. Fu fondata nel 648 a.C. dai calcidesi, origine confermata dagli studi archeologici, già raccontata da Diodoro Siculo. La sua storia durò solo 240 anni perché oggetto di desiderio per la sua posizione strategica sul mare, alla foce di un fiume, che le aveva permesso un rapido sviluppo. Si contrappose alla vicina punica Solunto, con la quale si scontrò nel 480, affrontando un cruento combattimento che fu paragonato alla più famosa battaglia di Salamina, avvenuta nello stesso giorno. Vi fiorì una cultura mista, propria di siti abitati contemporaneamente da individui di etnie diverse, di cui rimangono testimonianza alcuni elementi decorativi e le monete. Scavi archeologici, iniziati nel 1929, hanno portato alla luce un tempio dedicato ad Athena Nike, la Vittoria. Questa costruzione è la più significativa del sito, in stile dorico, ed è l'unica parte visibile di un santuario edificato in onore della dea. Nelle vicinanze, ultimamente, sono stati portati alla luce resti di un abitato del V sec. a.C. sovrapposti alla città arcaica: abitazioni ed un temenos (area sacra con templi, are, edifici di servizio, delimitata da un muro). La cosa più interessante di questi scavi archeologici è data dall'impianto urbanistico. Della ricolonizzazione della collina (476 a.C.), rimangono sedici edifici delimitati da strade parallele, in direzione perpendicolare alla strada principale che termina, forse, in quella che doveva essere l'Agorà. Le case mostrano la stessa regolarità: occupano un'area quadrata ed hanno tutte le stesse dimensioni. Le case, a gruppi di quattro o cinque, erano servite da una cisterna per l'approvvigionamento idrico. Case simili a quelle descritte si trovano sul pendio della collina (VI sec. a.C.); sul limite nord-orientale dell'altura è stata scoperta un'area sacra, frequentata sin dal periodo arcaico, delimitata da un recinto, probabilmente anche questa dedicata ad Athena. Della seconda metà del VII sec. a.C. è il grande "dado" di calcare, e di un periodo appena posteriore il tempio A. Esistono anche il tempio B, C e D ed una grande area sacrificale: tutti gli edifici sono costruiti con lo stesso orientamento (NO-SE), forse per motivi religiosi; il recinto sacro invece è inscritto nel tessuto urbano. La visita, interessantissima, potrà essere supportata dall'esposizione didattica del piccolo Antiquarium, allestito nel circondario. Tessitura e ricamo Sono l'orgoglio di donne che da generazioni ripetono tecniche e disegni, segreto tramandato da madre in figlia. Queste attività affondano le radici nel periodo greco-romano, a quanto dicono le fonti disponibili, e nell'epoca musulmana, quando s'introduce la sericoltura. Ricevono un impulso e migliorano successivamente sotto i Normanni. L'industria della seta subirà alterne vicende, come la stessa lavorazione della lana, che diminuisce, fino a scomparire, quando entra in crisi la pastorizia; fino ai primi decenni del XX sec. invece si coltivano ancora lino e cotone per tessere la tila di casa da ricamare per il corredo. Queste abilità manuali, soprattutto la tessitura, hanno rischiato di scomparire quando le donne sono "uscite" da casa per lavori più richiesti e remunerativi, tra gli anni Sessanta e Ottanta. Da circa un decennio però, sono comparse le cooperative, che hanno tentato di "riprendere le fila" e di recuperare queste arti antiche, più adeguate ai ritmi di una vita ecosostenibile. Nell'economia contadina, il lavoro di tessitura era fondamentale per l'autoconsumo dei suoi membri. Con cotone, lana e lino si producevano la biancheria per la casa e gli indumenti necessari a tutta la famiglia. Le operazioni preliminari per la lavorazione, soprattutto della lana, erano faticose quanto la coltivazione dei campi; il telaio veniva montato in un locale luminoso, il tipo usato era quello che comunemente si trova nel resto del Mediterraneo. Vari i tessuti prodotti: i carpituna, per i tappeti o le coperte, la trama era costituita da strisce di stoffa riciclata; i frizzati, lenzuoli la cui trama era data da un filo di lana; la cutra cu i fasci copriletto con una striscia liscia ed una a nido d'ape, brisca di meli... Le tovaglie e le lenzuola di lino potevano avere fili di lino per l'ordito e la trama o fili di cotone per l'ordito. Il ricamo ha resistito meglio alla modernizzazione, sia per il fatto che le ragazze si decoravano il corredo, sia perché nel Collegio di Maria le orfanelle sono state guidate nell'apprendere quest'arte, per arricchire i paramenti sacri. Quest'attività che nel tempo ha raggiunto alti livelli di raffinatezza, ha sempre richiesto maggiore abilità, rispetto alla tessitura, e grande pazienza: i prodotti vengono realizzati in grandi telai rettangolari o nei piccoli tilareddi quadrati a seconda dell'ampiezza del tessuto da ricamare.

Non bisogna dimenticare inoltre le trine realizzate a tombolo ed all'uncinetto, che adornano ed impreziosiscono biancheria richiesta anche all'estero.

(tratto dal sito Dipartimento Azienda Regionale Foreste Demaniali)

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